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CONSONANZE,
ASSONANZE, DISSONANZE
ELIO
PECORA: per Sandro Penna
Nell’alta
stanza con le imposte chiuse
gli
tornavano intatti il cielo e il mare
e
fanciulli fra l’erbe e l’erbe al sole
del
tempo immemorabile sereno
forse
varcato soltanto nel sogno.
S’ammucchiavano
intorno
al
suo letto di logore lenzuola
vari
strumenti e vecchi panni e mappe
per
un viaggio da compiere ancora.
Nelle
notti vegliate udiva l’ora
battere
sopra le cupole e il fiume
e
già piangeva l’attimo bruciante
quando
la triste fanciulla gentile
sarebbe
entrata a fermarlo nel sonno.
Elio
Pecora, Poesie (1975 – 1995), Empirìa ed. |
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VERA
LÚCIA DE OLIVEIRA
Sandro
Penna aveva un ideale etico di bellezza
a
furia di abitare la vita miserevole di vedere le miserevoli
cose
dell’amore di amare come un cane che ulula alla luna
aveva
deciso che voleva solo la gioia per quanto piccola
forse
anche misera la sua gioia diurna il fascio di luce
che
essa lasciava sulle cose senza luce della sua esistenza
si
sarà detto che per questo siamo stati creati non per patire
chi
non ci ama chiamare mamma attendere attendere
Vera
Lúcia de Oliveira, |
Lavoro
di poeta
sebbene
il vento
nella
via percossa
spaccasse
i tuoi passi
incrinasse
i tuoi giorni
sembrava
dentro
eternamente
sostare
l’estate
(che
i versi
sulla
carne non portano
incrinature
né
morti)
|
|
Vera
Lúcia de Oliveira, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997 (a
proposito della poesia Lavoro di pescatore, di Sandro Penna)
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VITORIA
BARTOLUCCI: Ma stamattina
Trasale
a intervalli
il
grande edificio
al
suono che avverte
del
passare del tempo
su
pensieri costretti in griglie d'ascolto
su
pensieri distratti
dal
rumore d'una moto che passa
da
immagini in fuga rimaste negli occhi
da
ritmi infiltrati sotto la pelle
Su
pensieri assonnati indifferenti
E
tu te ne stai silenzioso
in
un libro
giù
in biblioteca Un po' impolverato
Ma
stamattina
da
un'aula all'ultimo piano
qualcuno
ha pensato
di
mandarti a chiamare
e
tu sei arrivato
avvicinandoti
alla cattedra ai banchi
dapprima
indeciso un po' frastornato
Poi
dal bianco del tuo taccuino
hai
estratto
l'azzurro
del mare
la
fuga notturna dei treni
la
corsa delle stelle nel cielo
la
dolcezza del vento…..
E
sui pensieri i vestiti
il
tempo gli occhi la pelle
l'indifferenza
è
stata Poesia
Vittoria
Bartolucci, |
ROBERTO
DEIDIER: A Sandro Penna
C’è
un motivetto allegro,
Oggi,
nella testa.
Mia
città, questo sia l’ultimo ostacolo
Sul
reticolo sordo delle tue strade.
Domani
porterò con me
Un
pensiero più scaltro,
Scarpe
leggere e forse un padre
Che
m’aspetta alla fine del viale;
Una
borsa di nessuna preghiera
E
occhi accorti lungo il filo
Delle
tante impalcature dove cresci.
Ma
spogli, silenziosi come un cortile
A
mezzo inverno, o un frullo
Fattosi
volo e nessuno insegue
Arrancano
già i compagni,
Ognuno
stringe a sé il suo calendario.
Dov’è
il mio, dov’è più?
E’
un motivetto allegro,
Oggi,
la testa.
|
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Roberto
Deidier, da Diapason di voci, omaggio a Sandro Penna, Edizioni Il
Girasole, Valverde (Catania) 1997 |
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GABRIELLA
BIANCHI: A Sandro Penna
Uscir
con Sandro Penna la mattina
fuori
città sedendosi sull’erba,
tra
giochi di farfalle e di bambini
parlar
d’amore, di poesia, di niente:
“le
mura di Perugia un poco strette
frenavano
il ritmo del tuo canto
e
alzavano la noia. I tuoi fanciulli
ti
aspettavano altrove con la gioia.
Ti
mancavano il fiume e la città
vasta
e beata, ed i meriggi al sole,
e
i sempiterni giochi dell’amore.
Ti
sei mosso con agio dentro l’ozio
come
se fosse una virtù divina,
e
come un dio novello ai quattro venti
hai
seminato un credo di letizia.
Vorrei
stringere un patto di amicizia
con
la purezza tua un po’ randagia,
ma
il meriggio è alla fine, te ne vai
con
la tua storia calda dentro un treno”.
Gabriella
Bianchi |
PAUL
BOWLES
Un
giorno leggi, o rileggi, una poesia di Sandro Penna:
Laggiù,
dove una storia
personale
nel sole
mi
parve un superiore
gioco
di dadi…
oggi
una vacca senza storia annusa
la
terra nera un po’ fumante, chiusa
tra
i filamenti della pioggia, radi
ma
certi fili della memoria.
Un
altro giorno, leggi un romanzo non eccelso di Paul Bowles e ti trovi con
il protagonista in un momento quasi “di riflessione finale”:
“La
terra non sapeva di esistere, esisteva e basta. Perciò vivere significava
soprattutto sapere di essere vivi, e la vita senza questa certezza era
simile alla non esistenza. Per questo senza dubbio gli veniva fatto
continuamente di domandarsi: sono realmente qui ? Era naturale desiderare
una tale assicurazione, provarne una disperata necessità. La pietra di
paragone di ogni volta consisteva nel poter sempre rispondere, senza
esitazione: “sì”. Non doveva sussistere un briciolo di dubbio. Una
vita doveva possedere tutte le qualità della terra da cui derivava, più
la consapevolezza di possederle. Lo intuì con perfetta chiarezza, in un
ragionamento senza parole, una serie di idee che gli si susseguivano nella
mente con la spontaneità della musica, la precisione della geometria. In
qualche remota parte di se stesso stava esaminando la sua vita, con un
telescopio rovesciato, vedendola nei più intimi dettagli, lontanissima,
ma con una tremenda
chiarezza, e mentre guardava gli sembrò che ora ogni circostanza venisse
contemplata nella sua prospettiva finale. Aveva sempre pensato, anche
prima, che sebbene l’infanzia fosse ormai tanto lontana ci sarebbe stato
un giorno, un avvenimento che gli avrebbe dato l’opportunità di vederla
definita nelle sue angosciose delizie. Un giorno si era svegliato per
accorgersi che la sua infanzia se n’era andata, era finita mentre lui
non badava e i suoi elementi erano rimasti indefiniti, il so disegno
nebuloso, le sue armonie tutte insolute. Eppure si era sempre sentito
legato ad ogni parte di essa da migliaia di fili invisibili; pensò di
avere il potere di risuscitarla o trasformarla, semplicemente toccando
questi segreti fili della memoria.”
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(
Paul Bowles, “Let it come down”, 1952, nella traduzione di Domenico De
Gregari, ed. Oscar Mondatori, 1967, pagg.317-318 )
E
resti a pensare. (lb) |
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PIER PAOLO PASOLINI
“Le madonne oggi non
piangono più”, Corriere della Sera, 5 giugno 1975
“Ricordo con intimo, quasi
struggente piacere le mattinate di scuola in cui i miei professori invece di
fare lezione si lasciavano prendere da non so che pigrizia e libertà e ci
parlavano di altre cose. Erano, almeno nel ricordo, mattinate come queste di
maggio o giugno, in cui l’anno scolastico stava per finire. C’era questo
sole stagnante, immenso e mite; il sole delle poesie estive di Sandro
Penna…”
( in PPP. ”Lettere
Luterane”, L’Unità/Einaudi, 1991, pag.64 ) (lb) |
GRAZIA
PECCI: Lettera a Sandro Penna
Volevo iniziare questa
lettera con una delle convenzionali formule d’apertura, un caro, un
egregio, o semplicemente un ciao, ma poi ho pensato non fossero adatte a
te. Per te la vita non è mai stata convenzionale, ”normale”, comune…
Tu non eri comune.
Posso solo immaginare
quanto debba essere stato difficile vivere in un mondo in cui devi andare
contro le tue pulsioni, la tua natura, per essere accettato.
La diversità, eri tu a
dirlo, non va nascosta.
Felice chi è diverso
Essendo egli diverso.
Ma guai a chi è diverso
Essendo egli comune.
A cosa può mai servire fingere
d’essere quello che non siamo.
Si può essere felici
solamente accettandosi.
Felici della nostra
diversità.
Purtroppo esistono tanti
pregiudizi, m’immagino quante volte ti avranno additato passando per una
via, quanti sorrisini maligni avranno accompagnato le tue uscite.
E del resto come potevi
essere felice?
Eri in un mondo in cui non
c’era posto per te…
Non credere che oggi le
cose siano cambiate poi di tanto, anzi...
I pregiudizi vivono forti
e ben radicati anche nell’odierna società.
Forse saresti vissuto un
po’ meglio, avresti avuto un pò più di libertà, ma credimi, i sorrisi, le
chiacchiere, i pregiudizi avrebbero fatto parte della tua vita.
Ho letto le tue poesie e tutte,
proprio tutte, mi hanno dato la sensazione di una serie di istantanee, che
proiettano all’esterno la necessità di comunicare la tua sofferenza al mondo
circostante.
Amavo ogni cosa del mondo. E
non avevo
Che il mio bianco taccuino
sotto il sole.
Lo sai, t’immagino
veramente, magari seduto in cima ad un colle, solo,
mentre ti perdi a
guardare l’infinito, come già un altro prima di te…,
interrogandoti sul senso
della tua vita e sul perché di tanta sofferenza.
Ho letto che soffrivi
d’ipocondria, e capisco le cause di questa malattia.
Sono sicura che cercavi di
camuffare il vero dolore, la vera sofferenza: l’essere
escluso, l’eccessiva
solitudine con un dolore immaginario che sono certa faceva meno male.
Ti mancava anche l’unico
appoggio che si dà a tutti gli uomini, la consolazione della chiesa.
Livida alba, io sono senza
Dio.
Quante volte ti sarai chiesto:
”Ma come può il padre di tutti essere cosi crudele da accordare il suo
appoggio solo ad alcune sue creature.
Siamo figli suoi, ci ha
fatto lui…come è possibile?”
Domande cui sicuramente
non avrai trovato risposta, come del resto io.
A troppe cose non c’è
spiegazione a questo mondo, e forse è bene che non ci sia, ma alla fine si
finisce con l’accettare passivamente tutti gli eventi, belli e brutti.
Ci si rassegna.
Siamo giunti ai saluti, e quello
che voglio dirti ancora è un grazie per le splendide poesie che ci hai
lasciato. Chissà che non servano a far sparire completamente o anche solo in
parte gli intramontabili pregiudizi che hanno accompagnato la tua figura
insieme a quella di altri”diversi”nel mondo.
Grazia Pecci, I.T.C.
“Vittorio Emanuele II”, Perugia, a.s. 2001-2002 |
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LUCA SCUTIGLIANI: Pensieri e Parole
Sandro Penna, un autore
sconosciuto per molti, un poeta-culto per i suoi rari estimatori .
La curiosità di leggere ed
interpretare le sue poesie è molto forte, soprattutto dopo aver conosciuto
la sua sofferta esistenza, trascorsa, fino all’età di ventitré anni, proprio
a Perugia, dove ha frequentato la scuola che io stesso frequento oggi,
percorso vie in cui mi capita di passare spesso (“Dovrei dire delle mie
case. Delle case dove mi rivedo. Una è via Vermiglioli n. 5. Due passi dal
centro della città. Passando sotto l’arco dei Priori, per via dei Priori in
ripida discesa, è poi a destra la via Vermiglioli che, pur brevissima, è
fatta di un tratto di strada normale: una scalinata una piazzetta un
arco.”), passeggiato con gli amici per Corso Vannucci proprio come fanno
ancora i giovani della mia età (“tutti ci si poteva poi rivedere, era quasi
certo, al passeggio del « corso ». C’erano delle ore in cui era difficile
non essere presenti. L’assente era sospettato in disgrazia. Noi giovani poi
consideravamo un dovere fare il « corso » molte volte, anche se soffiava
d’inverno « la tramontana ». E dovevamo lo stesso arrivare a toccare il
parapetto sulla magnifica vallata, di cui abbiamo parlato, giacché era
quest’ultimo il tratto più gelido, come si può immaginare, il più eroico.").
Molte domande hanno
suscitato in me le sue poesie.
Come conviveva con la sua
diversità?
Cosa significava per lui
amare?
Come riusciva a stabilire
rapporti con la società del suo tempo?
I suoi versi, con mirabile
delicatezza, riescono a fornire anche le risposte che cerchiamo.
Leggiamo due fra le sue
poesie più famose, che meglio di altre, secondo me, raccontano in modo
esplicito, e nello stesso tempo reticente, il suo rapporto con l’Amore:
L’ombra di una nuvola
leggera
Mi condusse a un
fanciullo
Che uscito dal torrente
Nudo si stese sull’erba.
Mi sentii dopo la prima
comunione. |
Disegnavano in me nel caldo letto
Un’alba nelle curve i lenti stridi.
Assonnato lasciava la rimessa
Il vuoto carrozzone illuminato.
Nel grigio l’attendevano animati
E caldi gli operai. Sul selciato lontano
Anonimo batteva il primo
amore. |
E su di lei
Rotolarono giorni verdi e
uguali
E monotoni vespri con le
donne
Ferme sugli usci di vie
desolate
A manovrare pettini e
capelli. |
|
Questi versi descrivono
due ambienti diversi, ma entrambi molto presenti nella poesia di Penna: da
una parte la campagna periferica, rasserenata e colorata per l’improvvisa
apparizione di un fanciullo, dall’altra la città, con gli operai pendolari
ed il duro lavoro. In entrambe le poesie è la presenza di figure maschili a
dare al poeta la coscienza, ed anche la gioia, della propria diversità: egli
prova attrazione per la giovinezza ancora incontaminata, per l’appunto
quella di un fanciullo disteso sull’erba, ma contemporaneamente, come
avviene nella seconda poesia, sembra esser folgorato dalla bellezza di un
anonimo operaio, simbolo di virile sensualità, che riesce con il suo corpo
“caldo” a far innamorare il poeta.
Questa emotività e
sensibilità così fragile e delicata, che chiaramente viene alla luce
leggendo i testi citati, si trova certamente in contrasto con la società
nella quale l’autore viveva, una società che, sia prima, che dopo la guerra
(e credo anche oggi…), praticava l’intolleranza e creava discriminazioni,
apparentemente sorda nel recepire le implicite richieste di aiuto e di
accettazione che provenivano da un uomo sofferente come Penna.
Fuggono i giorni lieti
Lieti di bella età.
Non fuggono i divieti
Alla felicità.
Da qui appare chiaramente
come il poeta, già consapevole della propria diversità, provi un sentimento
di amara rassegnazione nel dover constatare come un mondo così tanto amato
da lui ( “io della vita tanto innamorato”) lo condanni alla infelicità, la
stessa infelicità che probabilmente lo porta ad assumere un atteggiamento di
auto-esclusione e a provare angoscia.
Mi nasconda la notte e il
dolce vento.
Da casa mia cacciato e a te
venuto
mio romantico amico fiume
lento.
Guardo il cielo e le nuvole e
le luci
degli uomini laggiù così
lontani
sempre da me. Ed io non so
chi voglio
amare ormai se non il mio
dolore.
La luna si nasconde e poi
riappare
- lenta vicenda
inutilmente mossa
sovra il mio capo stanco di
guardare.
Ora dopo alcuni decenni,
stiamo riscoprendo questo poeta “triste” del nostro secolo e mi piace
ricordare come in tutte le sue poesie Penna utilizzi sempre la massima
delicatezza nell’esprimersi e nel descrivere certi momenti della sua vita
quotidiana, una vita che lo ha condannato alla sofferenza, ma che allo
stesso tempo gli ha concesso, come lui stesso scrive, un meraviglioso dono:
la Poesia.
"Sempre affacciato a una
finestra io sono,
io della vita tanto
innamorato.
Unir parole ad uomini fu il
dono
breve e discreto che il cielo
mi ha dato."
Luca Scutigliani, I.T.C.
“Vittorio Emanuele II”, Perugia, a.s. 2001-2002
|
BUNELLA
BRUSCHI:
Gioiosa infelicità
L’odore
di muro fresco al mattino;
l’ora
del sole nuovo che, in un soffio, sopra
si
posa da scomposte aurore,
invaso
d’erba e di calce:
nel
vuoto della stanza essere pieni
come
i fanciulli che splendono
agli
angoli di strade e orinatoi, nei voli di
Scolpire
in cuore il tuo bianco taccuino sotto il sole.
Il
colore del canto così sfuggente e vicino, ardente
come
una gioiosa infelicità:
è
il mare tutto azzurro, la tua irrequieta, lieta inettitudine.
Brunella
Bruschi, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997 |
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ENRICO
CERQUIGLINI: Notturno – Periferia 1948
La
sera ti colse fuori le mura
-
prati senza profumi
sterrati
di future periferie
cespugli
stenti tra zolle impastate
da
mani meccaniche –
dalla
tenda insicura nel vento
venne
un riso svagato.
Dopoguerra
di gioco, di sorrisi
di
momenti di rinato candore
mangiatori
di spade
mangiatori
di fuoco
acrobati
nel vuoto
fachiri
divertiti
furbi
fuochi brillanti dell’infanzia.
Sento
forse nel vento
nelle
pieghe della tenda celata
dal
buio la serena
tua
solita tristezza.
Enrico
Cerquiglini, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997 |
ANNA
MARIA FARABBI: Vidi un bambino fermo al centro
Vidi
un bambino fermo al centro
del
girotondo
che
s’incantava cantando
giallognola
azzurrina bianca
la
felicità.
E
poi vidi soltanto
l’occhio
della
ruota del carro.
Amore
che chiarisce la notte
pisciando
in faccia
alla
morte, umiliandola
con
la luce.
Amore
dentro cui è caduta sciolta
la
fronte,
che
non pensa non pesa non batte.
Non
batte.
Anna
Maria Farabbi, Una poesia per Sandro Penna, 1997 |
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GLADYS
BASAGOITIA: A Sandro Penna
Il
tuo amore diverso eppure uguale
ai
più sinceri amori
il
tuo estro ci arricchì
Umbro
ed elladico la tua vita
musicavi
in
scintillante chiave di sol
Vibravi
con la tramontana
la
tua pena di spine e di rovo
Tu
stesso cactus che
con
la forza dell’anima
vinceva
il suo destino
per
regalarci il suo fiore arduo
Gladys
Basagoitia, da “Selva invisibile” |
FRANCESCO
CURTO: Hommage a Sandro Penna
Trascinavi
il tuo mondo racchiuso
in
una busta di plastica ed i sogni
tradotti
sui biglietti dell’autobus
negli
occhi ti scorreva puro il fiume
da
cui emergevano i bei corpi di ragazzi
allegri.
Desiderio d’una carezza
per
poi fuggire mano nella mano
dentro
un letto orizzontale tra il cuore
e
il cielo. Salpando nudo incontro
all’amore
scioglievi la malinconia
in
un pianto nascosto all’alba dopo
il
risveglio trafitto dai rumori.
Solo
sotto la fioca luce della periferia
aspettavi
gli operai fatti prigionieri.
Un’altra
volta ancora saranno i sogni
a
liberarci dalle ombre cattive
anch’io
mi porterò racchiuso dentro
questo
bagaglio leggero di parole
tutto
il peso di-versi mai scritti.
Mi
fermerò alla tua fonte e ad occhi chiusi
il
cuore involando a voli leggeri
respirerò
il suono della melodia perduta.
Sarai
la Penna sempre viva a svelarci
i
dolci rumori nell’affanno della vita.
Francesco
Curto |
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BRUNO
DOZZINI: Disgido penniano
“La
tenerezza tenerezza è detta
se
tenerezza cose nuove detta”.
Però
da tenerezza nasce pena
e
nel cuore la pena,
che
non nuova si annida,
figlia
è pur lei da sempre
di
tenerezza che grida.
Bruno
Dozzini |
ANGELO
FERRANTE: Per Sandro Penna
Illusione
tipica de l’età menzognera:
le
ragazze, sedute sopra le moto a schiera,
armeggiano,
ne l’attesa, mani sotto le stoffe estive.
Bocche
pupille mostrano sensitive.
Viste
e riviste si muovono a folate
verso
le tane d’erba, complice la calda estate.
Domani
una di loro darà la sua risposta
alle
indurite macchie sulla gonna scomposta.
Della
perduta innocenza il grido, Dio,
si
perde, delle lontane stelle, nel tremitio.
Angelo
Ferrante |
|
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CARLO
GUERRINI: L’anima divorerà il tramonto...
L’anima
divorerà il tramonto
nel
suo rossore ingannevole,
come
il sole seguirà la luce
nella
sacra legge del ritorno.
Così
ritornerai tra le oscure
e
luminose febbri adolescenti,
bianco
il tuo taccuino da viaggio,
chiaro
labirinto il mondo.
Carlo
Guerrini, da Sette poeti del premio Montale 1995, Scheiwiller,
Milano, 1996. |
PIERO
LAI: Estivi pomeriggi domenicali in periferia...
In
ricordo di Sandro Penna
Estivi
pomeriggi domenicali in periferia.
Vestiti
da ganzi i giovinetti
ostentano
camicie rosse e verdi
cravatte
variopinte calzoni come fasce.
Si
raccolgono al bar sonnolento dei dopopranzi
che
odora di colonia e di caffè.
Pigliano
a gruppetti la via della città
sulla
strada lucida che si disfà sotto i piedi.
Ondeggiano
in chiare nuvolaglie.
Passa
rara qualche macchina
lanciano
a quella ilari invettive.
Le
viuzze cittadine sono fresche e silenziose
sola
manda a squarciagola “Paint it black”
la
latteria piena di soldati.
Celeste
all’ombra Piazza della Repubblica.
Dai
trivio si tira giù fino al cinema Minerva...
A
bighellonare per il corso
i
sogni del cine in testa e un furtivo sguardo...
La
periferia s’è ripopolata delle donne ciarliere.
Seduti
sui muretti allora
al
centrocampo del brusio
concerto
di televisioni.
Trionfo
di domeniche sportive.
Pietro
Lai, Opportune strategie, 1976 |
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MARIA
GRAZIA LENISA: In morte di Sandro Penna
D’una
protervia tra il fraterno
e
il torrido certo il tuo sesso
la
morte patisce in quella bocca
come
sabbia mobile.
Lascia
da
parte la fanciulla torva
e
la corolla cedi al tuo bel giovane.
Un
asparago dritto di giardino
egli
t’appare ed a toccarlo inclina
la
tua mano che afferra, trema,
ardisce.
O
delizia e tormento che confermi
l’ambiguità
della natura inferma:
amare
è questo: vivere il mio tempo
pur
negli spazi della sua violenza.
Oggi
è morto un poeta: Sandro Penna
con
la corona del suo giovinetto.
Maria
Grazia Lenisa, inedito del 1977 |
RENATO
MORELLI: A Sandro Penna
Per
le fresche vie di Perugia
ti
sei aggirato per anni:
non
ti ho conosciuto
e
le tue opere
in
questa quieta provincia,
stordita
nella perenne laude
del
proprio passato,
erano
ignote ai più.
Ora,
puro spirito o residuo filo d’erba,
sei
salito nel nirvana
del
magma dinamico multimediale,
MA
A ME e a noi epigoni dei Beat-nicks,
al
capezzale di un mondo che muore,
(in
cui vivono
-IMPUNITI
FRA NOI STESSI-
Deng
e i serial killers,
le
multinazionali, le cavie umane,
le
quattro torri di Cernobyl e Sellafield,
i
profughi nigeriani, i Cutu e Timor Est,
i
desaparecidos e il sempre vivo Pinochet,
le
dittature e i fanatici religiosi),
il
tuo canto intriso di odori e di afrori
di
anguillesche membra di giovinetti imberbi
e
di mascoline pelurie flessuose
mi
turba, ci turba:
(ho
gesti di stizza e numerosi tic),
e
mia figlia si schermisce infastidita.
Con
le unghie di Freddy Kruger
i
tuoi versi dolciastri
di
balenanti volute di torbidi fumi
strappano,
sconnettono
e
scorticano le fila monotone dell’esistenza
integrata
di un impiegato monopolio di stato:
decisamente
sei il Poeta, ma non ti amo.
Renato
Morelli |
|
|
New
from Geenna
Ero
a Enna
con
Filiberto Menna
e
lì, da quella Cayenna,
decidemmo
di usare un’antenna
improvvisata,
affettando una cotenna
di
una vecchia pelle di renna
per
comunicare con Ayrton Senna
che,
fresco di Geenna,
ci
avrebbe dato notizie di Sandro Penna
...poi,
affamati, andammo ...a(c)ce(n)na...
dove
scrivemmo l’ode in punta di ...penna!
(S’impenna
la penna
di Penna):
il pennuto spennato: che penna...!
(Tre sere malate in Maremma.)
Renato
Morelli |
PAOLO
OTTAVIANI: Incantamento
Sandro
e Pier Paolo per incantamento
vorrei
sentire in barca ragionare
ed
io cheto alla barra scrutare il mare.
Paolo
Ottaviani |
|
|
Ecco,
fanciullo
Omaggio a Sandro Penna
Ecco,
fanciullo
quest’arido
tuo bene
brucia
nel sole
né
manca mai di vento
.che
ti scompiglia
e
calmo mentre t’alzi
sulla
scogliera
dell’alta
fantasia
Ah!
Come punge
Sandro
quella bellezza
perduta
e chiara
nella
strada e nei versi
il
desiderio
spento
che ci sospinge
al
altra luce
sull’orlo
del millennio
dentro
clonati
fiori
solo tristezza
s’accende
per via
e
nel greco tuo canto
Dei
seminudi
muoiono
nel quartiere
ch’ora
s’abbuia.
Da
dove tu ci ascolti
mandaci
un bacio
e
il tuo lieto rumore
suoni
nel verso
che
per strada cantano
questi
ragazzi
allegri
sotto il sole
che
più non vedi.
Paolo
Ottaviani |
MICHELANGELO
PASCALE: Parole al computer
(quattro
quartine per Sandro Penna)
Caro
nome
che
il mio cor
(Rigoletto,
atto 1)
Se
rinascessi Sandro
come
pennino d’acciaio
certamente
il tuo nome
sarebbe
fuorimode
potresti
forse
chiamarti
Ibiemme
aggiornando
ad oggi
il
modo di scrittura
ma
non saranno mai
i
tuoi versi fuoricorso
moneta
buona
che
appaga i debitori
la
tua poesia
resta
per sempre
fissata
sulla carta:
videogame
dell’anima
Michelangelo
Pascale, 27 – II – 97 |
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