Amici di Sandro Penna - Perugia

Libera associazione di lettori per la promozione e la conoscenza di Sandro Penna  in Italia e nel mondo

 Sandro Penna

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CONSONANZE, ASSONANZE, DISSONANZE

 

Elio Pecora Vera Lúcia de Oliveira

Vittoria Bartolucci

Roberto Deidier Gabriella Bianchi Paul Bowles
Pier Paolo Pasolini Grazia Pecci Luca  Scutigliani Brunella Bruschi Enrico Cerquiglini Anna Maria Farabbi
Gladys Basagoitia Francesco Curto Bruno Dozzini Angelo Ferrante Carlo Guerrini Pietro Lai
Maria Grazia Lenisa Renato Morelli Paolo Ottaviani Michelangelo Pascale

ELIO PECORA: per Sandro Penna

 

Nell’alta stanza con le imposte chiuse

gli tornavano intatti il cielo e il mare

e fanciulli fra l’erbe e l’erbe al sole

del tempo immemorabile sereno

forse varcato soltanto nel sogno.

S’ammucchiavano intorno

al suo letto di logore lenzuola

vari strumenti e vecchi panni e mappe

per un viaggio da compiere ancora.

Nelle notti vegliate udiva l’ora

battere sopra le cupole e il fiume

e già piangeva l’attimo bruciante

quando la triste fanciulla gentile

sarebbe entrata a fermarlo nel sonno.

 

Elio Pecora, Poesie (1975 – 1995), Empirìa ed.

VERA LÚCIA DE OLIVEIRA

 

Sandro Penna aveva un ideale etico di bellezza

a furia di abitare la vita miserevole di vedere le miserevoli

cose dell’amore di amare come un cane che ulula alla luna

aveva deciso che voleva solo la gioia per quanto piccola

forse anche misera la sua gioia diurna il fascio di luce

che essa lasciava sulle cose senza luce della sua esistenza

si sarà detto che per questo siamo stati creati non per patire

chi non ci ama chiamare mamma attendere attendere

 

Vera Lúcia de Oliveira,

Lavoro di poeta

 

sebbene il vento

nella via percossa

spaccasse i tuoi passi

incrinasse i tuoi giorni

 

sembrava dentro

eternamente sostare

l’estate

(che i versi

sulla carne non portano

incrinature

né morti)

 

Vera Lúcia de Oliveira, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997 (a proposito della poesia Lavoro di pescatore, di Sandro Penna)

  

VITORIA BARTOLUCCI: Ma stamattina

 

Trasale a intervalli

il grande edificio

al suono che avverte

del passare del tempo

su pensieri costretti in griglie d'ascolto

su pensieri distratti

dal rumore d'una moto che passa

da immagini in fuga rimaste negli occhi

da ritmi infiltrati sotto la pelle

Su pensieri assonnati indifferenti

E tu te ne stai silenzioso

in un libro

giù in biblioteca Un po' impolverato

Ma stamattina

da un'aula all'ultimo piano

qualcuno ha pensato

di mandarti a chiamare

e tu sei arrivato

avvicinandoti alla cattedra ai banchi

dapprima indeciso un po' frastornato

Poi dal bianco del tuo taccuino

hai estratto

l'azzurro del mare

la fuga notturna dei treni

la corsa delle stelle nel cielo

la dolcezza del vento…..

E sui pensieri i vestiti

il tempo gli occhi la pelle

l'indifferenza

è stata Poesia

 

Vittoria Bartolucci,

ROBERTO DEIDIER: A Sandro Penna

 

C’è un motivetto allegro,

Oggi, nella testa.

 

Mia città, questo sia l’ultimo ostacolo

Sul reticolo sordo delle tue strade.

Domani porterò con me

Un pensiero più scaltro,

Scarpe leggere e forse un padre

Che m’aspetta alla fine del viale;

Una borsa di nessuna preghiera

E occhi accorti lungo il filo

Delle tante impalcature dove cresci.

 

Ma spogli, silenziosi come un cortile

A mezzo inverno, o un frullo

Fattosi volo e nessuno insegue

Arrancano già i compagni,

Ognuno stringe a sé il suo calendario.

Dov’è il mio, dov’è più?

 

E’ un motivetto allegro,

Oggi, la testa.

 

Roberto Deidier, da Diapason di voci, omaggio a Sandro Penna, Edizioni Il Girasole, Valverde (Catania) 1997

GABRIELLA BIANCHI: A Sandro Penna

 

Uscir con Sandro Penna la mattina

fuori città sedendosi sull’erba,

tra giochi di farfalle e di bambini

parlar d’amore, di poesia, di niente:

  

“le mura di Perugia un poco strette

frenavano il ritmo del tuo canto

e alzavano la noia. I tuoi fanciulli

ti aspettavano altrove con la gioia.

 

Ti mancavano il fiume e la città

vasta e beata, ed i meriggi al sole,

e i sempiterni giochi dell’amore.

 

Ti sei mosso con agio dentro l’ozio

come se fosse una virtù divina,

e come un dio novello ai quattro venti

hai seminato un credo di letizia.

 

Vorrei stringere un patto di amicizia

con la purezza tua un po’ randagia,

ma il meriggio è alla fine, te ne vai

con la tua storia calda dentro un treno”.

 

Gabriella Bianchi

PAUL BOWLES

 

Un giorno leggi, o rileggi, una poesia di Sandro Penna:

 

Laggiù, dove una storia

personale nel sole

mi parve un superiore

gioco di dadi…

oggi una vacca senza storia annusa

la terra nera un po’ fumante, chiusa

tra i filamenti della pioggia, radi

ma certi fili della memoria.

 

Un altro giorno, leggi un romanzo non eccelso di Paul Bowles e ti trovi con il protagonista in un momento quasi “di riflessione finale”:

 

“La terra non sapeva di esistere, esisteva e basta. Perciò vivere significava soprattutto sapere di essere vivi, e la vita senza questa certezza era simile alla non esistenza. Per questo senza dubbio gli veniva fatto continuamente di domandarsi: sono realmente qui ? Era naturale desiderare una tale assicurazione, provarne una disperata necessità. La pietra di paragone di ogni volta consisteva nel poter sempre rispondere, senza esitazione: “sì”. Non doveva sussistere un briciolo di dubbio. Una vita doveva possedere tutte le qualità della terra da cui derivava, più la consapevolezza di possederle. Lo intuì con perfetta chiarezza, in un ragionamento senza parole, una serie di idee che gli si susseguivano nella mente con la spontaneità della musica, la precisione della geometria. In qualche remota parte di se stesso stava esaminando la sua vita, con un telescopio rovesciato, vedendola nei più intimi dettagli, lontanissima, ma con una tremenda chiarezza, e mentre guardava gli sembrò che ora ogni circostanza venisse contemplata nella sua prospettiva finale. Aveva sempre pensato, anche prima, che sebbene l’infanzia fosse ormai tanto lontana ci sarebbe stato un giorno, un avvenimento che gli avrebbe dato l’opportunità di vederla definita nelle sue angosciose delizie. Un giorno si era svegliato per accorgersi che la sua infanzia se n’era andata, era finita mentre lui non badava e i suoi elementi erano rimasti indefiniti, il so disegno nebuloso, le sue armonie tutte insolute. Eppure si era sempre sentito legato ad ogni parte di essa da migliaia di fili invisibili; pensò di avere il potere di risuscitarla o trasformarla, semplicemente toccando questi segreti fili della memoria.”

( Paul Bowles, “Let it come down”, 1952, nella traduzione di Domenico De Gregari, ed. Oscar Mondatori, 1967, pagg.317-318 )

 

E resti a pensare. (lb)

PIER PAOLO PASOLINI

 

 “Le madonne oggi non piangono più”, Corriere della Sera, 5 giugno 1975

 

“Ricordo con intimo, quasi struggente piacere le mattinate di scuola in cui i miei professori invece di fare lezione si lasciavano prendere da non so che pigrizia e libertà e ci parlavano di altre cose. Erano, almeno nel ricordo, mattinate come queste di maggio o giugno, in cui l’anno scolastico stava per finire. C’era questo sole stagnante, immenso e mite; il sole delle poesie estive di Sandro Penna…”

 

( in PPP. ”Lettere Luterane”, L’Unità/Einaudi, 1991, pag.64 ) (lb)

GRAZIA PECCI: Lettera a Sandro Penna

 

Volevo iniziare questa lettera con una delle convenzionali formule d’apertura, un caro, un egregio,  o semplicemente un ciao, ma poi ho pensato non fossero adatte a te. Per te la vita non è mai stata convenzionale, ”normale”, comune…

Tu non eri comune.

Posso solo immaginare quanto debba essere stato difficile vivere in un mondo in cui devi andare contro le tue pulsioni, la tua natura, per essere accettato.

La diversità, eri tu a dirlo, non va nascosta.

 

Felice chi è diverso

Essendo egli diverso.

Ma guai a chi è diverso

Essendo egli comune.

 

A cosa può mai servire fingere d’essere quello che non siamo.

Si può essere felici solamente accettandosi.

Felici della nostra diversità.

Purtroppo esistono tanti pregiudizi, m’immagino quante volte ti avranno additato passando per una via, quanti sorrisini maligni avranno accompagnato le tue uscite.

E del resto come potevi essere felice?

Eri in un mondo in cui non c’era posto per te…

Non credere che oggi le cose siano cambiate poi di tanto, anzi...

I pregiudizi vivono forti e ben radicati anche nell’odierna società.

Forse saresti vissuto un po’ meglio, avresti avuto un pò più di libertà, ma credimi, i sorrisi, le chiacchiere, i pregiudizi avrebbero fatto parte della tua vita.

Ho letto le tue poesie e tutte, proprio tutte, mi hanno dato la sensazione di una serie di istantanee, che proiettano all’esterno la necessità di comunicare la tua sofferenza al mondo circostante.

 

Amavo ogni cosa del mondo. E non avevo

Che il mio bianco taccuino sotto il sole.

 

Lo sai, t’immagino veramente, magari seduto in cima ad un colle, solo,

 mentre ti perdi a guardare l’infinito, come già un altro prima di te…,

interrogandoti sul senso della tua vita e sul perché di tanta sofferenza.

Ho letto che soffrivi d’ipocondria, e capisco le cause di questa malattia.

Sono sicura che cercavi di camuffare il vero dolore, la vera sofferenza: l’essere

escluso, l’eccessiva solitudine con un dolore immaginario che sono certa faceva meno male.

 Ti mancava anche l’unico appoggio che si dà  a tutti gli uomini,  la consolazione della chiesa.

 

Livida alba, io sono senza Dio.

 

Quante volte ti sarai chiesto: ”Ma come può il padre di tutti essere cosi crudele da accordare il suo appoggio solo ad alcune sue creature.

Siamo figli suoi, ci ha fatto lui…come è possibile?”

Domande cui sicuramente non avrai trovato risposta, come del resto io.

A troppe cose non c’è spiegazione a questo mondo, e forse è bene che non ci sia, ma alla fine si finisce con l’accettare passivamente tutti gli eventi, belli e brutti.

Ci si rassegna.

Siamo giunti ai saluti, e quello che voglio dirti ancora è un grazie per le splendide poesie che ci hai lasciato. Chissà che non servano a far sparire completamente o anche solo in parte gli intramontabili pregiudizi che hanno accompagnato la tua figura insieme a quella di altri”diversi”nel mondo.

 

Grazia Pecci, I.T.C. “Vittorio Emanuele II”, Perugia, a.s. 2001-2002

 

 

LUCA SCUTIGLIANIPensieri e Parole

 

Sandro Penna, un autore sconosciuto per molti, un poeta-culto per i suoi rari estimatori .

La curiosità di leggere ed interpretare le sue poesie è molto forte, soprattutto dopo aver conosciuto la sua sofferta esistenza, trascorsa, fino all’età di ventitré anni, proprio a Perugia, dove ha frequentato la scuola che io stesso frequento oggi, percorso vie in cui mi capita di passare spesso (“Dovrei dire delle mie case. Delle case dove mi rivedo. Una è via Vermiglioli n. 5. Due passi dal centro della città. Passando sotto l’arco dei Priori, per via dei Priori in ripida discesa, è poi  a destra la via Vermiglioli che, pur brevissima, è fatta di un tratto di strada normale: una scalinata una piazzetta un  arco.”), passeggiato con gli amici per Corso Vannucci proprio come fanno ancora i giovani della mia età (“tutti ci si poteva poi rivedere, era quasi certo, al passeggio del « corso ». C’erano delle ore in cui era difficile non essere presenti. L’assente era sospettato in disgrazia. Noi giovani poi consideravamo un dovere fare il « corso » molte volte, anche se soffiava d’inverno « la tramontana ». E dovevamo lo stesso arrivare a toccare il parapetto sulla magnifica vallata, di cui abbiamo parlato, giacché era quest’ultimo il tratto più gelido, come si può immaginare, il più eroico.").

 

Molte domande hanno suscitato in me le sue poesie.

Come conviveva con la sua diversità?

Cosa significava per lui amare?

Come riusciva a stabilire rapporti con la società del suo tempo?

I suoi versi, con mirabile delicatezza, riescono a fornire anche le risposte che cerchiamo.

 

Leggiamo due fra le sue poesie più famose, che meglio di altre, secondo me, raccontano in modo  esplicito, e nello stesso tempo reticente, il suo rapporto con  l’Amore:

 

L’ombra di una nuvola leggera

Mi condusse a un fanciullo

Che uscito dal torrente

Nudo si stese sull’erba.

Mi sentii dopo la prima comunione.

Disegnavano in me nel caldo letto

Un’alba nelle curve i lenti stridi.

Assonnato lasciava la rimessa

Il vuoto carrozzone illuminato.

Nel grigio l’attendevano animati

E caldi gli operai. Sul selciato lontano

Anonimo batteva il primo amore. 

 

E su di lei

Rotolarono giorni verdi e uguali

E monotoni vespri con le donne

Ferme sugli usci di vie desolate

A manovrare pettini e capelli.

 

 

Questi versi descrivono due  ambienti diversi, ma entrambi molto presenti nella poesia di Penna: da una parte la campagna periferica, rasserenata e colorata per l’improvvisa apparizione di un fanciullo, dall’altra la città, con gli operai pendolari ed il duro lavoro. In entrambe le poesie è la presenza di figure maschili  a dare al poeta la coscienza, ed anche la gioia, della propria diversità: egli prova attrazione per la giovinezza ancora incontaminata, per l’appunto quella di un fanciullo disteso sull’erba, ma contemporaneamente, come avviene nella seconda poesia, sembra esser folgorato dalla bellezza di un anonimo operaio, simbolo di virile sensualità, che riesce con il suo corpo “caldo” a far innamorare il  poeta.

Questa emotività e sensibilità così fragile e delicata, che chiaramente viene alla luce leggendo i testi citati, si trova certamente in contrasto con la società nella quale l’autore viveva, una società che, sia prima, che dopo la guerra (e credo anche oggi…), praticava l’intolleranza e creava discriminazioni, apparentemente sorda nel recepire le implicite richieste di aiuto e di accettazione che provenivano da un uomo sofferente come Penna.

 

Fuggono i giorni lieti

Lieti di bella età.

Non fuggono i divieti

Alla felicità.

 

Da qui appare chiaramente come il poeta, già consapevole della propria diversità, provi un sentimento di amara rassegnazione nel dover constatare come un mondo così tanto amato da lui ( “io della vita tanto innamorato”) lo condanni alla infelicità, la stessa infelicità che probabilmente lo porta ad assumere un atteggiamento di auto-esclusione e a provare angoscia.

 

Mi nasconda la notte e il dolce vento.

Da casa mia cacciato e a te venuto

mio romantico amico fiume lento.

 

Guardo il cielo e le nuvole e le luci

degli uomini laggiù così lontani

sempre da me. Ed io non so chi voglio

amare ormai se non il mio dolore.

La luna si nasconde e poi riappare

     - lenta vicenda inutilmente mossa

sovra il mio capo stanco di guardare.

 

Ora dopo alcuni decenni, stiamo riscoprendo questo poeta “triste” del nostro secolo e mi piace   ricordare come in tutte le sue poesie Penna utilizzi sempre la massima delicatezza nell’esprimersi e   nel descrivere certi momenti della sua vita quotidiana, una vita che lo ha condannato alla sofferenza, ma che allo stesso tempo gli ha concesso, come lui stesso scrive, un meraviglioso dono: la Poesia.

 

"Sempre affacciato a una finestra io sono,

io della vita tanto innamorato.

Unir parole ad uomini fu il dono

breve e discreto che il cielo mi ha dato."

 

Luca Scutigliani, I.T.C. “Vittorio Emanuele II”, Perugia, a.s. 2001-2002

 BUNELLA BRUSCHI: Gioiosa infelicità

 

L’odore di muro fresco al mattino;

l’ora del sole nuovo che, in un soffio, sopra

si posa da scomposte aurore,

invaso d’erba e di calce:

nel vuoto della stanza essere pieni

come i fanciulli che splendono

agli angoli di strade e orinatoi, nei voli di

 

Scolpire in cuore il tuo bianco taccuino sotto il sole.

 

Il colore del canto così sfuggente e vicino, ardente

come una gioiosa infelicità:

è il mare tutto azzurro, la tua irrequieta, lieta inettitudine.

 Brunella Bruschi, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997

ENRICO CERQUIGLINI: Notturno – Periferia 1948

 

La sera ti colse fuori le mura

- prati senza profumi

sterrati di future periferie

cespugli stenti tra zolle impastate

da mani meccaniche –

dalla tenda insicura nel vento

venne un riso svagato.

Dopoguerra di gioco, di sorrisi

di momenti di rinato candore

mangiatori di spade

mangiatori di fuoco

acrobati nel vuoto

fachiri divertiti

furbi fuochi brillanti dell’infanzia.

Sento forse nel vento

nelle pieghe della tenda celata

dal buio la serena

tua solita tristezza.

 

Enrico Cerquiglini, omaggio dei poeti umbri a Sandro Penna, 1997

ANNA MARIA FARABBI: Vidi un bambino fermo al centro

 

Vidi un bambino fermo al centro

del girotondo

 

che s’incantava cantando

giallognola azzurrina bianca

la felicità.

 

E poi vidi soltanto

l’occhio

della ruota del carro.

 

Amore che chiarisce la notte

pisciando in faccia

alla morte, umiliandola

con la luce.

 

Amore dentro cui è caduta sciolta

la fronte,

che non pensa non pesa non batte.

Non batte.

 

Anna Maria Farabbi, Una poesia per Sandro Penna, 1997

GLADYS BASAGOITIA: A Sandro Penna

 

Il tuo amore diverso eppure uguale

ai più sinceri amori

il tuo estro ci arricchì

Umbro ed elladico la tua vita

musicavi

in scintillante chiave di sol

Vibravi con la tramontana

la tua pena di spine e di rovo

Tu stesso cactus che

con la forza dell’anima

vinceva il suo destino

per regalarci il suo fiore arduo

 

Gladys Basagoitia, da “Selva invisibile

 

FRANCESCO CURTO: Hommage a Sandro Penna

 

Trascinavi il tuo mondo racchiuso

in una busta di plastica ed i sogni

tradotti sui biglietti dell’autobus

negli occhi ti scorreva puro il fiume

da cui emergevano i bei corpi di ragazzi

allegri. Desiderio d’una carezza

per poi fuggire mano nella mano

dentro un letto orizzontale tra il cuore

e il cielo. Salpando nudo incontro

all’amore scioglievi la malinconia

in un pianto nascosto all’alba dopo

il risveglio trafitto dai rumori.

Solo sotto la fioca luce della periferia

aspettavi gli operai fatti prigionieri.

Un’altra volta ancora saranno i sogni

a liberarci dalle ombre cattive

anch’io mi porterò racchiuso dentro

questo bagaglio leggero di parole

tutto il peso di-versi mai scritti.

Mi fermerò alla tua fonte e ad occhi chiusi

il cuore involando a voli leggeri

respirerò il suono della melodia perduta.

Sarai la Penna sempre viva a svelarci

i dolci rumori nell’affanno della vita.

 

Francesco Curto

BRUNO DOZZINI: Disgido penniano

 

La tenerezza tenerezza è detta

se tenerezza cose nuove detta”.

Però da tenerezza nasce pena

e nel cuore la pena,

che non nuova si annida,

figlia è pur lei da sempre

di tenerezza che grida.

 

Bruno Dozzini

ANGELO FERRANTE: Per Sandro Penna

 

Illusione tipica de l’età menzognera:

le ragazze, sedute sopra le moto a schiera,

armeggiano, ne l’attesa, mani sotto le stoffe estive.

Bocche pupille mostrano sensitive.

Viste e riviste si muovono a folate

verso le tane d’erba, complice la calda estate.

Domani una di loro darà la sua risposta

alle indurite macchie sulla gonna scomposta.

Della perduta innocenza il grido, Dio,

si perde, delle lontane stelle, nel tremitio.

 

Angelo Ferrante

CARLO GUERRINI: L’anima divorerà il tramonto...

 

L’anima divorerà il tramonto

nel suo rossore ingannevole,

come il sole seguirà la luce

nella sacra legge del ritorno.

 

Così ritornerai tra le oscure

e luminose febbri adolescenti,

bianco il tuo taccuino da viaggio,

chiaro labirinto il mondo.

 

Carlo Guerrini, da Sette poeti del premio Montale 1995, Scheiwiller, Milano, 1996.

PIERO LAI: Estivi pomeriggi domenicali in periferia...

 

In ricordo di Sandro Penna

 

Estivi pomeriggi domenicali in periferia.

Vestiti da ganzi i giovinetti

ostentano camicie rosse e verdi

cravatte variopinte calzoni come fasce.

Si raccolgono al bar sonnolento dei dopopranzi

che odora di colonia e di caffè.

Pigliano a gruppetti la via della città

sulla strada lucida che si disfà sotto i piedi.

Ondeggiano in chiare nuvolaglie.

Passa rara qualche macchina

lanciano a quella ilari invettive.

Le viuzze cittadine sono fresche e silenziose

sola manda a squarciagola “Paint it black”

la latteria piena di soldati.

Celeste all’ombra Piazza della Repubblica.

Dai trivio si tira giù fino al cinema Minerva...

A bighellonare per il corso

i sogni del cine in testa e un furtivo sguardo...

La periferia s’è ripopolata delle donne ciarliere.

Seduti sui muretti allora

al centrocampo del brusio

concerto di televisioni.

Trionfo di domeniche sportive.

 

Pietro Lai, Opportune strategie, 1976

MARIA GRAZIA LENISA: In morte di Sandro Penna

 

D’una protervia tra il fraterno

e il torrido certo il tuo sesso

la morte patisce in quella bocca

come sabbia mobile.

 

Lascia

da parte la fanciulla torva

e la corolla cedi al tuo bel giovane.

Un asparago dritto di giardino

egli t’appare ed a toccarlo inclina

la tua mano che afferra, trema,

ardisce.

 

O delizia e tormento che confermi

l’ambiguità della natura inferma:

amare è questo: vivere il mio tempo

pur negli spazi della sua violenza.

 

Oggi è morto un poeta: Sandro Penna

con la corona del suo giovinetto.

 

Maria Grazia Lenisa, inedito del 1977

RENATO MORELLI: A Sandro Penna

 

Per le fresche vie di Perugia

ti sei aggirato per anni:

non ti ho conosciuto

e le tue opere

in questa quieta provincia,

stordita nella perenne laude

del proprio passato,

erano ignote ai più.

 

Ora, puro spirito o residuo filo d’erba,

sei salito nel nirvana

del magma dinamico multimediale,

MA A ME e a noi epigoni dei Beat-nicks,

al capezzale di un mondo che muore,

 

(in cui vivono

-IMPUNITI FRA NOI STESSI-

Deng e i serial killers,

le multinazionali, le cavie umane,

le quattro torri di Cernobyl e Sellafield,

i profughi nigeriani, i Cutu e Timor Est,

i desaparecidos e il sempre vivo Pinochet,

le dittature e i fanatici religiosi),

 

il tuo canto intriso di odori e di afrori

di anguillesche membra di giovinetti imberbi

e di mascoline pelurie flessuose

mi turba, ci turba:

(ho gesti di stizza e numerosi tic),

e mia figlia si schermisce infastidita.

 

Con le unghie di Freddy Kruger

i tuoi versi dolciastri

di balenanti volute di torbidi fumi

strappano, sconnettono

e scorticano le fila monotone dell’esistenza

integrata di un impiegato monopolio di stato:

 

decisamente sei il Poeta, ma non ti amo.

 

Renato Morelli

New from Geenna

 

Ero a Enna

con Filiberto Menna

e lì, da quella Cayenna,

decidemmo di usare un’antenna

improvvisata, affettando una cotenna

di una vecchia pelle di renna

per comunicare con Ayrton Senna

che, fresco di Geenna,

ci avrebbe dato notizie di Sandro Penna

...poi, affamati, andammo ...a(c)ce(n)na...

dove scrivemmo l’ode in punta di ...penna!

                 (S’impenna

                  la penna

                  di Penna):

                  il pennuto spennato: che penna...!

                 (Tre sere malate in Maremma.)

 

Renato Morelli

PAOLO OTTAVIANI: Incantamento

 

Sandro e Pier Paolo per incantamento

vorrei sentire in barca ragionare

ed io cheto alla barra scrutare il mare.

 

Paolo Ottaviani

Ecco, fanciullo

                              Omaggio a Sandro Penna

 

Ecco, fanciullo

quest’arido tuo bene

brucia nel sole

né manca mai di vento

.che ti scompiglia

e calmo mentre t’alzi

sulla scogliera

dell’alta fantasia

Ah! Come punge

Sandro quella bellezza

perduta e chiara

nella strada e nei versi

il desiderio

spento che ci sospinge

al altra luce

sull’orlo del millennio

dentro clonati

fiori solo tristezza

s’accende per via

e nel greco tuo canto

Dei seminudi

muoiono nel quartiere

ch’ora s’abbuia.

Da dove tu ci ascolti

mandaci un bacio

e il tuo lieto rumore

suoni nel verso

che per strada cantano

questi ragazzi

allegri sotto il sole

che più non vedi.

 

Paolo Ottaviani

MICHELANGELO PASCALE: Parole al computer

 

(quattro quartine per Sandro Penna)

 

Caro nome

che il mio cor

(Rigoletto, atto 1)

 

Se rinascessi Sandro

come pennino d’acciaio

certamente il tuo nome

sarebbe fuorimode

 

potresti forse

chiamarti Ibiemme

aggiornando ad oggi

il modo di scrittura

 

ma non saranno mai

i tuoi versi fuoricorso

moneta buona

che appaga i debitori

 

la tua poesia

resta per sempre

fissata sulla carta:

videogame dell’anima

 

Michelangelo Pascale, 27 – II – 97

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